venerdì 26 febbraio 2010

Come un romanzo.

Un venerdì come tanti altri.
Mi sveglio con una sensazione strana, che non mi so spiegare, o forse sì, ma non voglio dirla.
Bevo frettolosamente un tè sbiadito.
Jeans.Felpa. Giacca. Sciarpa.
Mi butto in macchina quasi a peso morto.
Cheppalle.
Si parte.
Vorrei la musica nelle orecchie, la mia musica.
Quella che anestetizza, quella che sembra capirti e che mentre la ascolti ti fa muovere le labbra come un pesce.
Quella.
Invece sento solo jingle da centro commerciale o musica da quattro soldi.
Cresce un senso di fastidio per un risveglio così.
Sembra che ci siano giorni in cui il destino rincara la dose.
Calma.
Arrivo e mi rifugio in una libreria, con la speranza di essere ingoiato da qualche pagina e da qualche riga.
Una signora vicino a me fa cadere un libro.
Uno di quelli che il nostro non ha mai letto ma che in molte han letto.
Lo prendo per rimetterlo nello scaffale ma quella foto lì in copertina mi ricorda una scena già vissuta, e ripercorro anche mentalmente i commenti fatti a proposito.
Spulcio un po', leggo qualche frase a caso poi mi imbatto nel capitolo 9.
Non ci credo, qui mi si sta prendendo in giro.
Il destino rincara la dose.
Ancora.
Resto a bocca aperta già solo al titolo, figuriamoci a leggerlo.
Mi sento strano.
Vorrei poter dire a qualcuno di tutto questo.
Invece, sono completamente afono.
Mi mancano le parole.
E nella testa già friggono le sinapsi.
Non devo lasciarmi andare.
No non qui, non ora.
Non adesso.
Non così.
E uscendo in fretta e furia dalla libreria, quasi a voler intrappolare fra le righe certe sensazioni, cerco di pensare solo ad una cosa.
Proprio come era scritto su un libro che ho letto ormai tanti anni fa.
Se continua così.
Sarò per sempre senza risposte... E ben presto senza domande.

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