domenica 20 giugno 2010

Millechilometri per Despina

...Tu che sei lontana ormai
io che dormo poco e perciò
stasera faccio tardi
e penso che ti scriverò...

Già.
Stase va proprio così, come canta il buon Neffa ed, ovviamente, come accadeva ai vecchi tempi, giusto per non perdere il vizio, il caro vizio del grafomane all'ultimo stadio.
Il nostro davanti allo schermo del PC, la casa in silenzio, fuori la pioggia che tintinna incessante e la testa chissà con chi. Chissà dove.
Italia - Tunisia, millechilometri.
Millechilometri di terra e mare.
Millechilometri che separano, sì, ma uniscono le persone, altre persone, nuove persone.
Mi piace pensarla così, scusate la banalità.

"Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui.
Non è più terra, non è ancora mare.
Non è vita falsa, non è vita vera.
È tempo.
Tempo che passa.
E basta."

Tratto da "Oceano mare" di Alessandro Baricco

Ecco, appunto.
Tempo che passa. E non parlo della lancetta che scorre precisa sul quadrante, no.
E' il tempo delle scelte, di quelle scelte che cambiano la vita, che ti fanno mancare la terra sotto i piedi. Che ti mozzano il fiato, che ti fanno passare le mani fra i capelli. Che innestano una asimmetria nelle tua mente, nel tuo io. Asimmetria che sconvolge ma al contempo stimola a cercare nuovi equilibri.
Pochi minuti fa ho letto qualche riga scritta da una persona e fra una parola e l'altra io c'ho letto dentro questo. Scorrere di nuovo quelle righe blu, mi ha fatto uno strano effetto, che non riesco a descrivervi. E quella scritta. Non so, forse soffro di protagonismo e con tutto ciò non c'entro proprio una fava. Ecco, sì, meglio pensarla così, forse.
Ormai ho imparato la lezione, la pelle si sta facendo spessa.
Inutile negare che in questo primo mese tunisino, la mente è andata spesso a voisapetechi.
Mentre verniciavo sotto il sole e vedevo le mie scarpe cambiare colore e le macchie di colore piazzarsi random sulla t-shirt, a volte pensavo alla strada percorsa per arrivare qui, in questo luogo, con quella infinita linea d'acqua color cobalto che demarca il confine di questi mesi estivi.
Ho trovato Despina, la mia città di Despina, per dirla alla Calvino.
E come il cammelliere o il marinaio del racconto, anche io sono arrivato qui con l'idea di trovare un luogo differente dalla realtà che mi circondava. L'ho sentito dentro, come una mia necessità. E una necessità lo era già a febbraio, quando mi sono sentito rispondere che le intenzioni erano altre, quando mi sono sentito davvero come un pesce fuor d'acqua, sdradicato, spiazzato, senza fiato, con pochi stimoli, tanti dubbi e poche forze da spendere.
No, troppi condizionamenti per un ciclista sentimentale come il nostro.
Però ora ci sono arrivato a Despina, per me conta questo, per una volta voglio essere egoista e pensare a me stesso.
Eh.
Però ovviamente il bagaglio delle esperienze passate te lo porti sempre dietro, mica lo puoi lasciare a casa, sull'uscio della porta.
As usual mi vien da dire.
Forse qualcuno in questi giorni sta iniziando a capire cosa si prova, sta provando sulla sua pelle che quello che fa luce non è sempre oro e magari starà capendo il perchè di certi miei discorsi, di certi miei comportamenti. Lungi da me dire "te lo avevo detto" o frasi simili, non l'ho mai fatto e non lo farò perchè penso che vivere significhi scoprire quello che già si è e nessuno può dirtelo, lo devi capire tu. Semplice no?
Comunque se qualcuno vorrà raggiungermi qui, ben venga, una parte di me in un certo senso ci spera.
Quando? Adesso, domani o fra dieci anni, non importa, io non ci penso, non ci voglio pensare. Tanto le cose migliori accadono anche senza sforzarsi molto, no?

Intanto io resto qui, con il mio futuro e con i miei ricordi sempre ben impressi nella mente, anche se questi ricordi a volte grattano dentro un tot.
Io resto seduto sulla spiaggia a guardare il mare, a far castelli di sabbia in attesa di qualcosa.
Io resto a Despina.

A millechilometri da casa.

"In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello.
La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare.
Il cammlliere che vede spuntare all'orizzonte dell'altipiano i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar, sbattere le maniche a vento bianche e rosse, buttare fumo i fumaioli, pensa a una nave, sa che è una città ma la pensa come un bastimento che lo porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare, col vento che già gonfia le vele non ancora slegate, o un vapore con la caldaia che vibra nella carena di ferro, e pensa a tutti i porti, alle merci d'oltremare che le gru scaricano sui moli, alle osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa, alle finestre illuminate a pian terreno, ognuna con una donna che si pettina.
Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d'una gobba di cammello, d'una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello dal cui busto pendono otri e bisacce di frutta candita, vino di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa a una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi d'acqua dolce all'ombra seghettata delle palme, verso palazzi dalle spesse mura di calce, dai cortili di piastrelle su cui ballano scalze le danzatrici, e muovono le braccia un po' del velo e un po' fuori dal velo.
Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti."

Tratto da"Le Città Invisibili" di Italo Calvino