sabato 27 novembre 2010

duepuntozero

Sarà.
Sarà che a volte ti riesce meglio scrivere quando hai qualcosa che ti preme dentro, che ti scompiglia e che vuole uscire, che deve trascinarsi fuori, sotto qualche forma o attraverso un mezzo.
Non nascondo un certo imbarazzo iniziale nel tornare qui e scrivere.
Ammesso, poi, che "imbarazzo" sia la parola esatta.
Ecco forse non lo è.
O forse sì.
Chissene.
Il fatto è che ora sono cambiate molte cose nella mia piccola vita ed il sorriso è tornato stazionario sul mio viso, finalmente. Che è un po' come vincere la Coppa del Mondo a 35 anni: ormai non ci speravi più e invece...
...e invece "taaaac", cambia tutto.
Mutatis mutandis, come dicono i latini.
Mi sento un duepuntozero.
Nuovo entusiasmo, nuovi pensieri, nuove prospettive, nuova realtà.
Una sorta di personalissima evoluzione rispetto alla condizione precedente.
E come ogni cosa "puntozero" che si rispetti, anche io sono in fase di collaudo, mica son già pronto, confezionato, pronto per affrontare le nuove sfide dei prossimi anni.
Troppo facile, troppo maledettamente facile.
Mi sto testando, per vedere se alla fine quelle cicatrici, se quei solchi sono serviti a qualcosa.
Sarebbe alquanto scontato, banale e poco interessante scrivere di quanto io mi senta diverso in questo periodo. A Despina, lo sapete bene, alla fine qualcuno è arrivato a farmi compagnia, a riportarmi a casa.
E ora mi sento pronto a, come in quella canzone, sentita per radio una mattina di novembre.
Quindi ora me la vivo così, in perenne mutamento, in perenne aggiornamento.
E se vedete che qualcosa del nostro ancora non funziona bene o semplicemente è un po' cambiata rispetto a qualche mese fa, beh vi chiedo solo di portare un po' di pazienza.
In fin dei conti sono un duepuntozero.

martedì 2 novembre 2010

Itaca

Avrei voluto scrivere questo post quattro mesi fa.
Lo faccio oggi, con il medesimo spirito dentro.

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sara` questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
ne' nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; piu' profumi inebrianti che puoi,
va in molte citta` egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
gia` tu avrai capito cio` che Itaca vuole significare.

"Itaca", Kostantin Kavafis

Upside down.
Finally.
Si va.

domenica 20 giugno 2010

Millechilometri per Despina

...Tu che sei lontana ormai
io che dormo poco e perciò
stasera faccio tardi
e penso che ti scriverò...

Già.
Stase va proprio così, come canta il buon Neffa ed, ovviamente, come accadeva ai vecchi tempi, giusto per non perdere il vizio, il caro vizio del grafomane all'ultimo stadio.
Il nostro davanti allo schermo del PC, la casa in silenzio, fuori la pioggia che tintinna incessante e la testa chissà con chi. Chissà dove.
Italia - Tunisia, millechilometri.
Millechilometri di terra e mare.
Millechilometri che separano, sì, ma uniscono le persone, altre persone, nuove persone.
Mi piace pensarla così, scusate la banalità.

"Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui.
Non è più terra, non è ancora mare.
Non è vita falsa, non è vita vera.
È tempo.
Tempo che passa.
E basta."

Tratto da "Oceano mare" di Alessandro Baricco

Ecco, appunto.
Tempo che passa. E non parlo della lancetta che scorre precisa sul quadrante, no.
E' il tempo delle scelte, di quelle scelte che cambiano la vita, che ti fanno mancare la terra sotto i piedi. Che ti mozzano il fiato, che ti fanno passare le mani fra i capelli. Che innestano una asimmetria nelle tua mente, nel tuo io. Asimmetria che sconvolge ma al contempo stimola a cercare nuovi equilibri.
Pochi minuti fa ho letto qualche riga scritta da una persona e fra una parola e l'altra io c'ho letto dentro questo. Scorrere di nuovo quelle righe blu, mi ha fatto uno strano effetto, che non riesco a descrivervi. E quella scritta. Non so, forse soffro di protagonismo e con tutto ciò non c'entro proprio una fava. Ecco, sì, meglio pensarla così, forse.
Ormai ho imparato la lezione, la pelle si sta facendo spessa.
Inutile negare che in questo primo mese tunisino, la mente è andata spesso a voisapetechi.
Mentre verniciavo sotto il sole e vedevo le mie scarpe cambiare colore e le macchie di colore piazzarsi random sulla t-shirt, a volte pensavo alla strada percorsa per arrivare qui, in questo luogo, con quella infinita linea d'acqua color cobalto che demarca il confine di questi mesi estivi.
Ho trovato Despina, la mia città di Despina, per dirla alla Calvino.
E come il cammelliere o il marinaio del racconto, anche io sono arrivato qui con l'idea di trovare un luogo differente dalla realtà che mi circondava. L'ho sentito dentro, come una mia necessità. E una necessità lo era già a febbraio, quando mi sono sentito rispondere che le intenzioni erano altre, quando mi sono sentito davvero come un pesce fuor d'acqua, sdradicato, spiazzato, senza fiato, con pochi stimoli, tanti dubbi e poche forze da spendere.
No, troppi condizionamenti per un ciclista sentimentale come il nostro.
Però ora ci sono arrivato a Despina, per me conta questo, per una volta voglio essere egoista e pensare a me stesso.
Eh.
Però ovviamente il bagaglio delle esperienze passate te lo porti sempre dietro, mica lo puoi lasciare a casa, sull'uscio della porta.
As usual mi vien da dire.
Forse qualcuno in questi giorni sta iniziando a capire cosa si prova, sta provando sulla sua pelle che quello che fa luce non è sempre oro e magari starà capendo il perchè di certi miei discorsi, di certi miei comportamenti. Lungi da me dire "te lo avevo detto" o frasi simili, non l'ho mai fatto e non lo farò perchè penso che vivere significhi scoprire quello che già si è e nessuno può dirtelo, lo devi capire tu. Semplice no?
Comunque se qualcuno vorrà raggiungermi qui, ben venga, una parte di me in un certo senso ci spera.
Quando? Adesso, domani o fra dieci anni, non importa, io non ci penso, non ci voglio pensare. Tanto le cose migliori accadono anche senza sforzarsi molto, no?

Intanto io resto qui, con il mio futuro e con i miei ricordi sempre ben impressi nella mente, anche se questi ricordi a volte grattano dentro un tot.
Io resto seduto sulla spiaggia a guardare il mare, a far castelli di sabbia in attesa di qualcosa.
Io resto a Despina.

A millechilometri da casa.

"In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello.
La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare.
Il cammlliere che vede spuntare all'orizzonte dell'altipiano i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar, sbattere le maniche a vento bianche e rosse, buttare fumo i fumaioli, pensa a una nave, sa che è una città ma la pensa come un bastimento che lo porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare, col vento che già gonfia le vele non ancora slegate, o un vapore con la caldaia che vibra nella carena di ferro, e pensa a tutti i porti, alle merci d'oltremare che le gru scaricano sui moli, alle osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa, alle finestre illuminate a pian terreno, ognuna con una donna che si pettina.
Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d'una gobba di cammello, d'una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello dal cui busto pendono otri e bisacce di frutta candita, vino di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa a una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi d'acqua dolce all'ombra seghettata delle palme, verso palazzi dalle spesse mura di calce, dai cortili di piastrelle su cui ballano scalze le danzatrici, e muovono le braccia un po' del velo e un po' fuori dal velo.
Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti."

Tratto da"Le Città Invisibili" di Italo Calvino



venerdì 21 maggio 2010

Half Of My Heart

Ultima porzione di tranquillità prima di essere inghiottito nel vortice delle novità.
Scrivo un po' di fretta quindi so già che alcune frasi saranno particolarmente sconclusionate o non comprensibili a nessuno al di fuori dalla mia mente.
Portate pazienza a sto giro.
Sono giorni un po' complicati, lo avrete capito.
Non tanto per la quantità di cose che ho da fare, per le persone che devo vedere e salutare.
Sono giorni che vivo sì con il sorriso ma sempre sul filo della commozione, con la lacrima aggrappata alla palpebra, in attesa di scendere lungo le guance.
Una strada già percorsa ormai molte volte, forse troppe.
Ogni frammento di realtà mi ricorda di, ogni nota di una canzone mi rimanda a.
Eh, cortocircuiti a manetta.
Non è facile per uno come me, per un ciclista sentimentale come il nostro.
La verità è che c'ho la mente ed il cuore splittati in due metà.
In mezzo tanta confusione a fare da collante.
"..Half of my heart's got a grip on the situation
Half of my heart takes time.."
Come direbbe John Mayer.
Sì esatto.
Metà del cuore ha il controllo della situazione, l'altra, semplicemente, prende tempo.
Metà ama, metà non sente niente. Forse odia.
Metà sente la necessità di qualche lacrima, l'altra fa l'adulta, "perchè i maschi non piangono".
Tutto sembra ridursi ad un confronto interiore fra superfluo e fondamentale.
Meglio.
Fra superfluo e sentimentale.
Tante volte, per me, ora, quei significati tendono a fondersi o forse sono solo io che vorrei fonderli ma non ci riesco.
In questi ultimi giorni italiani ho riascoltato alcune vecchie canzoni e, anche a distanza di tempo, restano canzoni che grattano dentro ogni volta che premo play, mentre osservo lo scorrere delle luci dei lampioni sul parabrezza.
Ma non è finita qui.
Mi tornano in mente le facce degli ultimi giorni, gli occhi luccicanti di certi amici, le strette di mano forse un po' più forti del solito, gli abbracci più intensi del normale.
E anche io mi rendo conto di stringere un po' di più del solito, di baciare le guance con sentimento, di sorridere di più mentre saluto.
E prima di chiudere questo post e finire la valigia che c'ho sul letto (che è quella di un lungo viaggio, come diceva la canzone) mi fermo a pensare a due persone che porto dentro.
Due persone così simili e ma così diverse, che mi hanno dato e che mi han tolto un tot.
Due che mi tornano in mente sempre, ogni giorno.
Due per cui a volte mi fermo a pensare, a volte sorrido, altre mi rattristo a seconda del ricordo che estraggo dal cassetto della memoria.
Due persone a cui vorrei poter dire tante cose ma.
Ma poi non lo faccio, e non so il perchè.
O forse sì.
Forse prendo tempo, come dice J.M.
O semplicemente perchè "...I can't stop loving you"
Punto.

domenica 16 maggio 2010

A Hundred Per Cent

E' da un paio di giorni che 'sta cosa mi rimbalza nella testa.
Me lo ripeto come un mantra.
L'ho detto pure l'altra sera con M., sempre davanti alla pinta di Guinness.
"Sai in quel momento ho pensato che sarei morto felice, perchè stavo facendo quello che mi piace".
Eh adesso.
Il solito catastrofista, il solito esagerato direte voi.
Il nuovo io, direi io.
Lasciamo stare la morte che è meglio, non son qui per portarmi sfiga da solo, visto che ne ho a pacchi già di mio.
Quella considerazione era una presa di coscienza, un attimo di estrema lucidità.
Arrivata dopo 5 lustri.
Troppo presto o troppo tardi?
Echilosa?
Sentire quella situazione impagabile che non provavo da molto tempo o che forse non ho mai veramente provato.
Sentire di essere padroni del proprio destino, lasciarsi guidare dall'istinto una volta tanto.
Libero arbitrio all'ennesima potenza.
Awesome.
Ecco, in quel momento, in quelle scelte ero io, me medesimo.
Al cento per cento.
Niente imposizioni, niente briglie, niente gioghi.
Io il responsabile di tutto.
Io con la mia incoscienza di chi non ha più nulla da perdere.
Io e la mia inquietudine che mi impedisce di restare fermo.
Io che un posto ancora non l'ho trovato.
Io che mi son visto scivolare via dalle mani qualche persona di troppo.
Io che 'pensavo di' e invece.
Io che la mia vita l'ho rivoltata come un calzino.
Corro all'indietro ad un mese fa circa, quando è iniziato tutto.
Come nelle trame dei film è iniziato quasi per scherzo, per scavallare questa noia che mi si appiccicava addosso, per scrollarmi di torno un po' di polvere e, scusate la franchezza, per non dover passare un'estate al sole a guardare le mie cicatrici dell'inverno.
Per non dover restare inerme a guardare la vita che avrei potuto fare se i nostri finali fossero come quelli dei libri.
Ecco.
Non ci sto, già ora faccio fatica a sopportarlo, figuriamoci quando il sole ti picchia sulla testa e il caldo ti attanaglia.
Che poi, a pensarci bene, è lo stesso motivo di fondo del mio disinteresse totale nei confronti di.
Perchè ogni volta è una coltellata e mi rendo conto che di certe cose, di certi fatti, di certe persone ne parlo sempre meno.
Ogni volta lo sguardo si ferma in un punto nel vuoto, gli occhi si socchiudono un po', la voce si fa strana e il fiato si fa corto.
Le stesse sensazioni di dicembre insomma.
Forse perchè un frammento di quello che provo pulsa ancora per.
Quindi via, contrariamente alla mia indole mi sono buttato senza sapere se il paracadute che tante volte mi ha salvato si sarebbe aperto o anche semplicemente dove atterrare e soprattutto se sarei atterrato sulle gambe o semplicemente con il culo per terra.
Ed il bello è che non ho fatto ancora niente.
Sono all'inizio di un lungo viaggio.
Un viaggio che mi servirà non tanto a mettere piede sulla terra straniera, quanto a mettere piede sul mio Paese come fosse una terra straniera.
L'ho scritto anche ad una persona mentre arrivavo a destinazione qualche giorno fa.
Spero abbia capito a cosa si riferivano le mie parole.
Guardare l'orizzonte e non vedere confini, non vedere limiti ti fa sentire vivo.
Ti fa sentire vivo al cento per cento.
Ti fa sentire l'infinito.

mercoledì 12 maggio 2010

Arrivi e Partenze.

Sono alla prima svolta di un lungo viaggio.
Svuoto la valigia anche se nonc'hovoglia.
Pesa un po' più rispetto all'andata, davvero.
Una settimana trascorsa a cento all'ora.
Mi mancava la velocità.
Questa velocità.
Quella che ti libera la mente.
Quella che ti spettina dentro.
Quella che vedi attraverso i sorrisi, il lavoro di squadra, la polvere, il legno, i colori, le risate, gli abbracci, gli sguardi.
E che sguardi.
Sguardi di chi ne ha passate tante, di chi ha fatto all-in con la vita, inevitabilmente lasciata alle spalle almeno per un po', per qualche mese se tutto va bene.
Confidenze, dubbi, paure ma tutti con quel desiderio di viaggiare e conoscere.
Tutti, forse troppi, accomunati da un solo destino.

Venezia, 5 maggio 2010 ore 10:29
Neanche farlo apposta.
Il viaggio inizia con "Bittersweet symphony".
A volte la voce "brani casuali" ti fa sentire canzoni che di casuale hanno ben poco.
Questione di attimi.
Sono seduto di fronte ad una vetrata enorme, quella da cui vedi un po' tutto.
Arrivi e partenze.
Aerei che decollano e che atterrano.
A dirla tutta sto guardando un punto fisso nel vuoto, al di là della vetrata.
Perchè ho ancora gli occhi lucidi per via di un sms inaspettato, con una citazione di Mark Twain.
Guardare in modo distratto il cellulare prima di spegnerlo e rivedere sul display ancora quel nome, ancora una volta, mi ha fatto un certo effetto.
Mi sono cristallizzato per qualche attimo a fissare il display del telefono, senza voler leggere il messaggio, quasi volessi trattenere quel momento ancora un altro po'.
Dopo un po' leggo.
Una volta finito mi cristallizzo ancora e se sento gli occhi un po' pesanti.
Vorrei solo sapere qual è il suo potere.
Vorrei sapere perchè mi ritrovo con gli occhi appannati a distanza di mesi.
Ed io che pensavo di esserne uscito.
Però una risposta provo a darmela da solo questa volta.
Non si fugge mai da se stessi.
I tuoi scazzi, i tuoi errori, i tuoi fantasmi sono sempre lì che ti aspettano.
Mica se ne vanno senza di te.
Anche perchè per quanto lontano tu possa andare, certe cose te le porti dentro comunque.
Forse è anche per questo che la valigia pesa un tot.

mercoledì 5 maggio 2010

Il Primo Passo

La valigia ora è davvero pronta.
Il tempo scorre.
Domani sarà un giorno da cerchiare di rosso sul calendario.
Perchè in questo momento questo conta, per me.
E' un bel tuffo di testa, lo so.
Non tutti capiscono questa mia scelta.
Mettere in pausa il lavoro in studio per fare qualcosa di completamente diverso da.
E dentro di me spesso ho la sensazione che.
Io lo vedo, lo noto, lo sento sulla pelle.
Ti guardano come se una rotella, o anche più di una magari, tu l'avessi persa per strada.
Sorrido.
Sorrido perchè arriva sempre un momento in cui non c'è altro da fare che rischiare.
Nella testa un solo pensiero.
Vai a vedere il mondo, vai a vedere cosa c'è.
Prima mi faccio una vita, imparo qualcosa, qualcosa che qui non ho, che nessuno mi ha insegnato.
Imparo a vivere, in un certo senso.
Poi la condividerò con una persona.
Ora, però, semplicemente non ci penso.
La mia felicità non deve dipendere dalle altre persone.
Altrimenti le persone diventano funzionali al tuo sogno.
E la persona si trova costretta ad essere ciò che tu desideri.
No.
C'ho un gomitolo di sensazioni dentro.
Che pacco.
"Come As You Are" dei Nirvana come sottofondo.
Memoria. Memoria.
Memoria. Memoria.
Come nel ritornello.
Rivedo le facce degli amici e delle amiche degli ultimi giorni.
Risate. Sguardi interdetti. Occhi velati. Sorrisi inaspettati. Smorfie.
Ed io qui con lo sguardo all'insù, il solito ciclista sentimentale.
Dai guarirò un giorno.
Promesso.
Intanto domani si va.
L'ho scritto prima.
Ho qualcosa da trovare, qualcosa da capire, qualcosa da dimenticare.
Ad essere sinceri anche più di qualcosa.
Forse qualcuno.
Meglio qualcuna.
Chimiconoscelosa.
Tante aspettative chiuse nel trolley nero di fronte a me.
Ma non mi porto dietro nessuna certezza.
Sapete che vi dico?
Me ne fotto.
Si va.

"Il viaggio non finisce mai.
Solo i viaggiatori finiscono.
E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era.
Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini.
Bisogna ricominciare il viaggio.
Sempre.
Il viaggiatore ritorna subito"
(José Saramago, Viaggio in Portogallo)

domenica 2 maggio 2010

Anima e Ghiaccio.

Lei è di fronte a me, beve un po' nervosa il suo cocktail dal bicchiere.
Ha gli occhi un po' velati, quasi spenti e sinceramente non l'avevo mai vista così.
Questo suo stato d'animo per me è così evidente che.
Mi chiedo gli altri se vedono e cosa vedono.
Boh.
Vorrei poterle dire qualcosa per farla star un po' meglio, per farla svoltare.
Per dirle che non è da sola, che in fondo ci son dentro anche io in questa gabbia.
"Sono il signor Wolf, risolvo problemi" come Harvey Keitel in Pulp Fiction.
Sempre il solito egocentrico, lo so.
Eppure lo so bene che non sono il tipo con la soluzione in tasca.
L'ho detto e scritto anche qualche mese fa.
E' che non mi va di vederla così.
Perchè una persona come lei non se lo merita, premettendo che non dovrebbe meritarsi nessuno di stare così per una persona che.
Eppure sì, as usual, io somatizzo un tot.
E poi su queste cose ci macino come un frantoio.
Forse perchè mi rivedo in certe inquietudini, in certi problemi.
Forse perchè a volte ti viene la sindrome "da toro nella corrida", da quello che viene trafitto mentre c'è chi resta inerme e c'è chi esulta sugli spalti.
Insomma ti rendi conto che c'è pure chi se ne sbatte altamente di te, dopo tante cose passate assieme, schiena contro schiena.
Ne so qualcosa.
Insomma un giorno accade che quello che volevi o che speravi non ce l'hai e ci devi fare i conti adesso.
Un po' triste e tagliato con l'accetta ma è proprio così che va.
Ma.
C'è sempre un ma in certe storie.
Nel senso che almeno una parte di te è consapevole di cosa non vuole diventare, anche se la giusta direzione ora manca o non è ben visibile.
Se sapessimo sempre qual è la strada migliore da seguire non faremo certi sbagli.
Perchè si sa, spesso le logiche sono contorte e poi si sa che il gregge è stupido, per definizione.
Quindi meglio restare aderenti a quello che pensiamo veramente e tenerci strette certe convinzioni, anche se poche.
Pochi concetti ma ben organizzati.
E non è mai semplice, ovviamente, perchè se c'è una parte di te che ti spinge a, c'è pure una parte che ti frena, che tende al ridimensionare i problemi.
In effetti sarebbe tutto più semplice stare in una specie di mondo in cui non ci sono certi problemi e tutticapisconotutti, in un mondo simile a qualche tempo fa magari in cui ti ci vedevi di più forse, ma purtroppo è un mondo che ora non c'è.
Ma questo non è vivere.
E poi se ci stai male a tal punto, il problema evidentemente c'è.
Il cocktail sta quasi finendo, come se, in un certo senso, scandisse il tempo del dialogo.
Quindi?
Quindi lo scrivo anche qui.
Alla fine un pseudo consiglio è uscito, come chiosa di quell'incontro atipico.
Adesso è il momento di fare qualcosa, di ragionarci sopra e poi magari prendere una decisione.
Nel bene o nel male.
E devi farlo per te e per chi ti sta vicino, ma vicino davvero.
Ecco.
Pensa a loro.
E pensa anche alle voci che senti dentro, a quelle voci che ti dicono chi sei.
E son voci forti, chiare.
Voci sempre fuori dal coro.

giovedì 29 aprile 2010

Resto fuori.

Sì esatto.
Stasera resto fuori.
O meglio scrivo fuori.
Seduto sulla scala in cemento, vicino la porta di casa.
"Con una luna così" (...) non si può fare diversamente.
E qui sgorga quella parte del ciclista sentimentale che è in me, anche se di ciclista, io, ho ben poco.
Piccì appoggiato sulle ginocchia ed una tazza di tè a fianco.
Camicia con le maniche arrotolate, tirate su fin sopra il gomito.
Sento lo stridere degli ultimi balconi che si chiudono lentamente.
C'è chi va a dormire e c'è chi non ne vuole sapere, come il nostro, qui, con lo sguardo all'insù.
Inizio a picchiettare velocemente sulla tastiera.
Sono successe un bel po' di cose che.
Scrivodigetto.
Mi scappa subito un piccolo sorriso.
Ripenso alle ultime parole spese qualche minuto fa con.
Conversazione breve, quasi rubata per certi versi.
Ma ugualmente interessate e gradita, visto l'argomento.
E che argomento.
D'You Know What I Mean?
Come cantavano gli Oasis nel 1997.
Ecco.
Ripensandoci mi son sempre trovato bene a parlare con lei, fin da subito.
Chissà se anche per lei è lo stesso.
Ripenso a sette giorni fa.
A quelle ore passate a parlare con i ragazzi, come me, in attesa.
Alla gioia nel far ridere una sconosciuta solo con una sola battuta e con uno sguardo.
E ritrovarsi a parlare assieme per ore, sempre in attesa.
Quanti background diversi, quante storie diverse, quante vite diverse.
Tutti con l'idea di allontanarsi per un po', tanto per iniziare per gradi.
Kihaad, Les Flamboyant, Hydra Beach...
Ripenso a sabato, al libro comperato nel pomeriggio.
Ripenso alla mega trasferta sera in laguna, qualche ora più tardi.
Dire che "ci voleva" un festone del genere è riduttivo.
Ripenso a qualche giorno fa.
O solo qualche ora fa, se preferite.
Vecchi e nuovi amici, tante risate e sguardi felici, occhi che brillano.
Tanta roba per chi nota questi dettagli.
I miei non brillano di certo come il dieci gennaio ma già so che il cambiamento è sempre più vicino.
Per ora va bene così.
Mi tengo strette quelle persone che mi spingono e che mi hanno spinto a svoltare.
E' una questione di karma, di eventi concatenati, come dicevo poco fa a.
Al resto non ci voglio pensare ora, non vale la pena star male se poi quel che torna indietro è tutto lì.
Quindi...Problemicivediamolunedì.
E anche se lunedì è passato da un pezzo, non fa niente.
Perchè stasera ho più ricordi dolci rispetto a quelli che ti lasciano l'amaro in bocca.
Perchè stasera va così, con quella luna color avorio che illumina tutto.
Perchè stasera sono ancora troppo sveglio per dormire, come direbbe Bassi.
L'ho detto.
Stasera resto fuori.