martedì 5 giugno 2012

Shadow Days

No, non è che mi son dimenticato.
Molto spesso passo di qui, rileggo vecchie cose e scrivo qualche nuova riga che, nella maggior parte dei casi, resta imbottigliata fra i post non pubblicati. Semplicemente restano lì, a distillare, un po' come accade per il vino. Con la strana convinzione che le vecchie bozze di oggi siano migliori se lette anche solo l'indomani.
E non è timidezza o paura di scrivere quel che si prova.
No.
E' un bisogno di filtrare certe sensazioni, di leggere fra le righe.
Perchè troppo spesso mi ritrovo a meravigliarmi anche di me stesso.
Io che son sempre stato ottimista, ultimamente mi ritrovo a vedere il bicchiere mezzo vuoto, senza considerare il fatto che un po' di vino, seppur poco magari, ma c'è.
E' una questione di punti di vista, di geometria e anche di diottria.
Un po' come canta il mio amico John Mayer nel suo ultimo singolo tratto dall'album "Born and raised" uscito giusto qualche giorno fa.
John Mayer che con le sue canzoni blues spesso ha scandito il mio tempo in determinati momenti.
(Half of my heart docet.)
Perchè la vita è una questione di luci e ombre e quello che proviamo ogni giorno sulla nostra pelle è solo una sfumatura di noi stessi, una declinazione in chiaroscuro del nostro io.
Solo che a volte splende il sole e a volte c'è un bel temporale estivo.

Well I ain’t no troublemaker and I never meant her harm.
But it doesn’t mean I didn’t make it hard to carry on.
Well it sucks to be honest and it hurts to be real.
But it’s nice to make some love that I can finally feel....Hard times let me be.




PS.
Un grande in bocca al lupo al nuovo blog della mia amica M intitolato "Dentro le nebbie".
E da uno come me che dentro la nebbia c'ha vissuto e ci vive tuttora, l'augurio non può non essere sincero!
Un po' mi spiace per Mr. Magoo, mi ci ero affezionato!
Però so di certo che gli aggiornamenti anche lì non mancheranno visto la quantità e la qualità dei post!
Vi lascio il link diretto... follow her e buona lettura!
Dentro le nebbie

"È importante vedere come la gente sceglie i nomi.
Morire e dare nomi – non si fa altro di sincero, probabilmente, per tutto il tempo che si campa."
(tratto da "Questa storia" di Alessandro Baricco)

sabato 12 maggio 2012

Live To Rise

A volte vorrei fosse tutto più facile.
Meno complicazioni e meno sbattimenti.
Ne guadagnerebbe la qualità della vita, di certo.
Invece ogni giorno è una fottuta battaglia e il suono della sveglia tanto somiglia al gong di un ring.
Sono giorni difficili perchè 'sta crisi, o come direbbero quelli "international" dal colletto bianco che sanno le lingue, il credit crunch, si fa sentire, eccome.

Anche con noi giovani, anzi soprattutto con noi giovani. 
(Ammesso e non concesso che il sottoscritto, alla veneranda età di cinque lustri abbondanti, si possa ancora fregiare di questo titolo...)
Noi che, per dirla mutuando le parole di Charles Michael "Chuck" Palahniuk 


"siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto" (cit.)

Noi.
Sì sì,
proprio noi.
E quindi anche l'andare avanti, in certi giorni, mi risulta alquanto complicato, più difficile di quanto avessi mai potuto preventivare.
E' che c'ho sempre il fiato corto e molti, forse troppi, pensieri per la testa.
Pensieri che nascono la notte quando molti dormono, anche ora, mentre scrivo.
Pensieri che si inzuppano di tutte quelle sensazioni che pensavo d'aver sepolto e mi tolgono, spesso e volentieri ormai, serenità e lucidità nel giudizio.
Pensieri che lentamente mi corrodono da dentro.
E' difficile non pensare al domani, al futuro, a molte, moltissime questioni che restano in sospeso.
Come i miei sogni.
Restano lì, sospesi.
Cristallizzati nel dubbio di un futuro incerto.
In attesa.
Intanto, da qualche giorno, ho una canzone in loop nell'iPod.
E' il 'nuovo' singolo dei Soundgarden, rock band statunitense fondata da Chris Cornell nel 'lontano' 1984 e riunitasi di recente, nel duemiladieci. Per intenderci, sono gli stessi che nel '94 incidevano Black Hole Sun, da molti considerata una pietra miliare del rock anni novanta e quel celeberrimo video clip dal sapore analogico, distorto e apocalittico. (...)
Il nuovo singolo, c'ha un titolo che è un programma.
Vivere per risorgere.
Fa molto "fenice", se mi passate la figura mitologica e poi, chi ha orecchie per intendere...
Ecco allora.
Vivere per risorgere.
Dall'alto della mia ignoranza musicale, io ci vedo dentro il cambiamento, la rivoluzione, il passaggio di stato.
Come una sorta di sublimazione a suon di chitarra e voce, di basso, rullante e cassa.
Insomma la volontà di cambiar le cose.
Di sovvertire qualche pronostico magari.
Di rompere qualche gabbia che troppo facilmente ormai ci intrappola e ci limita.
Per poi rinascere e ripartire.
Più forti di prima.
Perchè, insomma, si sa.
Non è mica tutto qui.

Like the sun we will live to rise.
Like the sun we will live and die and then ignite again.
Like the sun we will live to rise again.

Again.


sabato 5 maggio 2012

Fight For Your Right To Party

Oggi non ci sono molte parole.
Tralascio il noioso report della triste realtà.
Un altro grande Artista se n'è andato e ora ci guarda dall'altra parte della strada.
Ho molti ricordi legati ai Beastie Boys, ricordo perfettamente la prima volta che ascoltai un loro ciddì, una loro musicassetta.
Altri tempi.
Oggi però taglio corto, meglio lasciar spazio al silenzio, anche se con un goccio di tristezza dentro.
Mi fermo qui.
Adam, may your soul shine bright up there.

R.I.P. 
Adam Yauch aka MCA
New York, 5 agosto 1964 - New York, 4 maggio 2012

"Come accade spesso, ci misero un po' a ricordarsi che, quando muore qualcuno, agli altri spetta di vivere anche per lui – altro non c'è, di adatto." (cit.)



venerdì 27 aprile 2012

What's My Age Again?

I never want to act my age, what's my age again... what's my age again?

Parto dalla fine. 
Che poi è anche un bel modo per iniziare. 
Scrivo di getto quindi giàlosapete che non è così scontato che tutto c'abbia un senso.
I Blink-182 (...) nel 1999 se ne uscivano con questa traccia, di cui ricordo avevo il testo appuntato sulla tavola di sughero che avevo in camera. Allora i Blink-182 erano solo una giovane band a cavallo tra l'alternative rock e post grunge e io un quindicenne qualunque a cavallo tra gli anni ruggenti e roventi delle scuole superiori. Ho scelto di buttar due righe su questa canzone perchè è sempre rimbalzata nella mia mente anche a distanza di anni. Giusto di recente, qualche anno fa, era il ficherrimo duemiladieci, questa canzone è ritornata a riempire le mie orecchie, con un certo stupore da parte mia, non lo nascondo.
E' ricomparsa, dopo il periodo delle superiori, nei primi mesi dell'anno duezerodieci, accompagnando l'acquisto di quel biglietto per l'I-Days Festival il 4 settembre a Bologna. Biglietto che poi è rimasto ancora sulla mia scrivania. Eh sì, era un biglietto carico di aspettative, in una città che ho sempre segretamente amato e sognato, città che ha fatto da sfondo più volte a tanta musica e a certa letteratura a me cara. Allora avevo l'impressione di poter far qualsiasi cosa e, in effetti, ho fatto qualsiasi cosa. Solo che quel talloncino che di solito ti strappano all'ingresso del concerto è ancora al suo posto perchè in effetti io a quel concerto non ci andai. Non ci andai anche se mi sarebbe piaciuto andare con la compagnia che c'era. In più era la prima data del ritorno dei Blink in Italia, dopo gli scioglimento del gruppo del 2005 e la tragedia di Adam Goldstein, meglio conosciuto come DJ-AM, amico del batterista Travis Barker e morto nel 2009. Insomma, ci tenevo. Tralascio, invece, la spiega dei motivi per cui il mio biglietto risulti ancora intonso. Vabbè.

And that's about the time she walked away from me.
Nobody likes you when your 23.
And you still act like you're in Freshman year.

Vero. 
Non piaci a nessuno quando hai 23 anni e ti comporti ancora come una matricola. 
Solo che qui nessuno ha 23 anni.
Nel 2010 c'avevo qualche annetto in più. 
Ma in quel periodo mi comportai come una "matricola" nel senso che me ne fregai di sbagliare e giocai le mie carte con una sana dose incoscienza, già lo sapete. 
Pensavo che il ricordo di quel 4 settembre sarebbe stato inghiottito dal vortice delle novità di un lavoro a me nuovo, lavoro che mi ha portato lontano dal Belpaese per circa 5 mesi. Invece anche là, questa canzone è ritornata più e più volte, con i suoi significati annessi e con i suoi nuovi valori connessi. 
Chiamatelo destino, fato, sorte, fortuna, provvidenza o come vi pare.
Sceglietevi il sinonimo che più vi aggrada. 
Perchè io semplicemente non lo chiamo più.
Ed anche ora, ora che la canzone scatta random sul mio iPod, ora che la mia vita è diversa da qualche anno fa, ogni volta che riascolto quella traccia, ci vedo dentro tutti quei frammenti di vita che sono rimasti incastrati nei solchi di quella canzone e nei solchi della mia esperienza. 
Ascolto. Canto. Sorrido o mi commuovo. 
Doesn't matter.
Sono fatto così.
Io che spesso mi sono sentito quasi un pesce fuor d'acqua.
Io che spesso, anche adesso, mi sento inadeguato in certe determinate situazioni.
Io che, a ben pensarci, c'ho ancora un tot di strada davanti a me.

Non mi comporterò mai come un ragazzo della mia età, ma qual è la mia età?


Ps.
Scusate il ritardo. 
Niente blocco dello scrittore per me che scrittore non sono.
Scrivere qui, per me è sempre un piacere, a patto di aver veramente cose da dire e da condividere. E, certe volte, certi pensieri preferisco condividerli face-to-face con i miei amici di sempre e con chi vive con me. 
Pace.

"..Non sono il tipo che finge di essere tuo amico, che di ogni cosa fa uno spreco e di cio' che resta ne fa un mito" (cit.)

mercoledì 21 marzo 2012

Stage 3: La canzone che ti ricorda un luogo

No è che vorrei il dono della sintesi.
Vorrei poter scrivere di meno, meno parole da digitare su 'sta tastiera e più significati, più contenuti.
Io ogni volta ci provo, ma i risultati sono sotto gli occhi di chi legge.
Sembra che non riesca a fare a meno di scrivere o annotare certe sfumature, perennemente insoddisfatto di quello che riesco a scrivere, di queste quattro frasi che infilo la notte.
Il solito vizio da grafomane all'ultimo stadio come diceva sempre M.
Eh sì.
Ma questa volta la musica mi semplifica il compito.
La canzone che ho scelto ha una valenza particolare.
Sì perchè ancora adesso se chiudo gli occhi e sento le prime note della canzone rivedo in quel luogo.
Due anni fa, più o meno.
Estate. Quasi sera.
La luce virava su un caldo color arancio.
La luce virava su un caldo color arancio e l'aria si rinfrescava un po' dandoci qualche grado centigrado di tregua.
La luce virava su un caldo color arancio e l'aria si rinfrescava un po' dandoci qualche grado centigrado di tregua e questa canzone.
La cantava una persona a cui ero e sono tuttora molto affezionato.
Lei che è diventata una delle mie sorelle, lei che sapeva tutto di me, dei miei casini e dei miei amori.
Lei che sì che aveva il dono della sintesi, a ben pensarci.
Lei che aveva letto un pezzo di me.
Alla chitarra la accompagnava un altro amico conosciuto durante quell'avventura, una grande persona e un grande amico, uno che con la chitarra sa il fatto suo e ci mette il cuore quando pizzica quelle corde.
Ecco.
Loro due, elegantemente stretti in un vestito nero, una chitarra, un microfono.
E questa canzone.
Questa canzone che sembrava calzare a pennello per me, che ricalcava quello che stavo provando solo qualche giorno prima.
E io ero a qualche metro da loro due, con il mio bicchiere ghiacciato, appoggiato ad una colonna e lo sguardo rivolto verso il mare, idealmente verso casa, anche se il mio concetto di "casa" mi evocava sentimenti contrastanti.
Io che ripensavo alla strada percorsa per arrivare fino a quella colonna, lì, in quel posto, ora.
Io che ripensavo agli ultimi mesi e a fatica trattenevo dentro parole, pensieri e, perchè no, qualche lacrima.
C'era un che di introspettivo in tutta questa scena, sotto molti punti di vista.
Perchè l'aria sapeva di cambiamento, di maturazione e di novità.

I'm gonna make a change, for once in my life.
It's gonna feel real good, gonna make a difference, gonna make it right.


Ecco perchè questa canzone ha un certo significato per me.
Perchè proprio quel luogo (...) e quella canzone m'hanno insegnato che ci sono cose più importanti di star seduti e voltarsi a guardare indietro rimuginando sul passato.
Ecco.
Una di queste è andare avanti.
Andare avanti.
Un bel concetto, chiaro e semplice, sintetizzato in due parole.
A proposito di sintesi: a giudicare tutte le parole che ho infilato fin qui, è proprio come dicevo all'inizio del post.
Io ogni volta ci provo ma mi sa che non mi riesce più di tanto.

PS.
Questo post lo dedico a colei che cantava questa canzone.
Lo dedico a mia sorella Miky. 
Sono passati due anni da quando ci siamo conosciuti. 
Ed è sempre il primo giorno.
Ti voglio bene.






martedì 13 marzo 2012

Stage 2: La canzone che ti ricorda qualcuno

Secondo step, seconda tappa di questo viaggio per iscritto, digitato un po' frettolosamente su questi tasti scuri e composto tutto d'un fiato la sera, giusto prima di dormire almeno qualche ora.
Se il post precedente era il grimaldello, la chiave per entrare e per scavare un po' dentro questi miei settantanove chili, queste nuove righe entrano a gamba tesa sul mio passato.
Sì insomma come commettere un'entrata da rossodiretto in una partita di calcio.
Sono quelle cazzate che poi si pagano.
Inutile protestare, quel pezzo di plastica rossa che sventola davanti al tuo muso è il segnale inequivocabile che devi abbandonare il terreno di gioco.
E sì, lo so, lo puoi pure mandare affanc**o quel signore con quella divisa fluorescente che ti invita ad uscire ma la sostanza non cambia.
Rosso. Sei fuori, ora la partita non la giochi ma la guardi.
Ecco, a volte il gioco del calcio (e lo sport in generale) ha dei risvolti che, visti con occhio attento, sono pezzi di vita, sono regole lapidarie e sintetiche di una esattezza molto più che geometrica a tal punto che, se ci penso, mi stupisco ancora oggi.
Il cartellino rosso, l'espulsione, la fine del gioco.
Perchè se è vero che su alcuni errori si può mettere una pezza, su altre decisioni, beh, una volta prese hai espresso la tua volontà, hai dato sfogo ai tuoi pensieri e di tornare indietro proprio non se ne parla.
Quando mi son trovato a scegliere la canzone per questo post, la mia risposta è stata quasi immediata.
Troppo scontato parlare del presente, troppo facile scrivere di quello che il cuore fa vedere ora, per questo non lo faccio più con l'ignorante veemenza di qualche anno fa.
Mi vien da dire che sbagliando si impara e quindi certi errori tento di non commetterli.
Più complicato ma terribilmente più efficace pensare a qualche anno fa, quando tutto, a modo suo, ha avuto inizio. Quando la notte non dormivo, ronzavo per la casa con le cuffie ben calate sulle orecchie e mi tartassavo di domande di cui non avevo e non avrò mai le risposte.
Ecco quelle sere in loop nel mio iPod c'era questa canzone, con un titolo che è tutto un programma.

"La canzone non racconta di una persona in particolare." 
Ha dichiarato il cantante degli Incubus in un'intervista. 
"...Racconta di un mio breve periodo e delle mie esperienze con tutte le persone con cui son entrato in contatto durante la creazione di questo disco. In quel periodo avrei voluto qualcuno con cui condividere quei momenti."

Bravo Boyd, potrei sottoscrivere tutto, solo che io non stavo facendo un disco alternative rock intitolato "Morning view" ma stavo vivendo uno dei periodi più ingastriti della mia vita. Sì perchè la mia (me ne rendo conto solo ora) suonava più non tanto come una voglia di fare sharing, di condividere quanto una richiesta d'aiuto più o meno velata.
Già. Perchè era arrivato il cartellino rosso e d'improvviso da arbitro, quale son sempre stato, son passato ad essere il calciatore cacciato negli spogliatoi prima che la partita fosse conclusa.
Ero fuori dai giochi e non sapevo neppure il motivo.
E questa canzone mi ricorda sì qualcuno, non posso negarlo.
Mi ricorda lei.
Lei che in un sol colpo ha annullato il passato e contemporaneamente dissolto un futuro che sembrava dietro l'angolo.
Ma non voglio rivangare niente perchè credo che non stia a me giudicare circa l'esattezza o meno della decisione. Sono parte in causa e quindi il mio non sarebbe un giudizio imparziale e molto probabilmente non sarei nemmeno in grado di dare un giudizio molto lucido ancor'oggi.
E soprattutto perchè "quel che è stato è già passato e mo' il passato se lo tiene" tanto per citare il buon Neffa.
A modo suo lei ha fatto la sua scelta azzerando il tempo.
A modo suo lei, in quel preciso istante in cui ha deciso, è diventata eterna.

mercoledì 7 marzo 2012

Stage 1: La canzone che ti descrive

Dicono che le prime domande siano le più semplici. 
Fatte per mettere a proprio agio l'interlocutore.
Sì insomma, per rompere il ghiaccio.
Ecco, qui no...tanto per.
La prima domanda che mi son posto è riportata nel titolo del post.
La canzone che mi descrive.
Mica semplice. 
Mi tornano alla mente molti testi di canzoni e ovviamente ricordi ma ne devo scegliere una. That's the game!
Mi verrebbe da dire che, in fondo, sceglierne una è un'operazione quasi impossibile e assurda. Che 'sta cosa della musica, in fondo, mi complica la vita e m'inceppa lo scrivere qui.
Così resetto e riparto da zero...You must start from scratch, come si suol dire.
Aproparentesi. 
Mi fa sorridere pensare a quante volte sono partito da zero. Nella vita, nello studio, nell'amore. Cioè è sempre arrivato un punto in cui la misura era colma e dovevo stoppare tutto. Beh sì l'immaturità galoppante del sottoscritto l'ha fomentata un po' questa cosa ma mi fa sorridere. Comunque. 
Chiudoparentesi.
Ecco. 
Se devo partire da zero, allora lo faccio per bene.
Allora torno ai tempi delle superiori, del mio lettore ciddì con l'antishock che faceva molto figo ma a pensarci bene era una parruccata tremenda, ai tempi dei ciddì masterizzati da amici e compagni.
Ai tempi di ascoltaquestoefattiunacultura.
Ho scelto questa canzone perchè è stata quella che mi ha fatto innamorare della musica, del rap e delle parole, obviously. Forse non è (o era...?) il rap mainstream italiano, non era il gangsta rap statunitense e nemmeno il rap francese, quello dei sobborghi e delle banlieueEra musica composta da gente con la fotta, tanto per usare un po' di slang che fa molto supergiovane. Ma niente storie di sparatorie o storie di violenza, come nel film "Do the right thing" di Spike Lee.
No, questa non è Harlem, non è il Bronx, non è Compton, non è Parigi o Lione.
E' il bel Paese. (...m'han detto)
Meglio parlare di ciò che ci circonda davvero, niente pose o manie d'oltreoceano.
E se ci sono, sono di contorno, di scena, come nei dischi di certe rock band con tanto di diavoli, demoni e seiseisei...fa parte del gioco della musica.
Ho scelto questa traccia, ho scelto come prima tappa di questo percorso il rap, questo rap perchè m'interessano molto il testo, la metrica e i contenuti.
Già dal titolo forse si intuisce.
Parla di rapporti, amici e ricordi, temi che, seppur molto inflazionati, a mio avviso raramente sono stati trattati con così tanta perizia e precisione.
E più l'ascolto, più mi ci specchio dentro.
Perchè mi rendo conto, anno dopo anno, di quanto vere siano quelle rime, anche se fa male ammetterlo.
Perchè le cose cambiano ed è inutile illudersi o cullarsi stringendo tra le braccia un vecchio ricordo.
Perchè è giusto gustarsi il momento, la compagnia e le risate con gli amici di una vita quando si può.
Pochi momenti, magari, ma buoni.
Pochi amici, certo, ma buoni.
Perchè il mondo cambia e pure le persone che vi ci sono incollate sopra a modo loro si evolvono, mutano, maturano, s'incastrano, volano, vivono. 
O forse, come dice il testo, perchè va così.


venerdì 2 marzo 2012

This is a journey into sound

"This is a journey into sound.
A journey which along the way will bring to you new colour, new dimension, new value."


Bella citazione, diventata successivamente un bel sample, usato dai Public Enemy prima e successivamente nella canzone "Paid in Full" di Erik B e Rakim del 1987.
Un signor pezzo, sicuramente una delle pietre miliari della musica rap, se consideriamo quanti samples conteneva e quanti sono tuttora usati nel 2012.
Cito questa frase come titolo perchè vorrei parlare un po' di musica nei prossimi post.
Perchè la musica per me non è mai stata un optional. 
Anzi.
Mi ha sempre accompagnato, guidato, fiancheggiato.
Per ogni evento, serata speciale o incontro, di quelli che tracciano un solco nella storia della tua vita, io c'ho sempre associato una canzone.
Come rafforzativo del ricordo.
Quasi a rendere più intensa l'esperienza.
La musica riesce ad arrivare dove non arrivano queste quattro parole che riesco a scrivere qui, questo è il punto.
Forse perchè, come dice un certo Johann Sebastian Bach 
"..La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c'è fuori".



martedì 28 febbraio 2012

#me

Titolo un po' criptico me ne rendo conto.
Però azzeccato.
Perchè in questo blog il trending topic, come direbbero quelli bravi, gira che ti rigira..sono io.
Forse è solo un goccio di egocentrismo o forse è solo il bisogno mai represso di districare una matassa di cose che mi frullano nella testa o di infilare frasi con una certa finalità terapeutica più o meno latente.
Ecco.
Non sembra, ma questo è più di un diario.
L'ho capito una notte, immerso in uno di quei momenti rubati al giorno, in cui il traffico e il caos della città smettono di filtrare dalla finestra.
Leggo, penso e scrivo qua e là, dove capita, spesso qui, in questo posto.
In questo blog c'è molto di me...forse troppo, direbbe qualcuno.
Ho iniziato a scrivere in un momento non facile per me, in cui ho visto crollare molte certezze, o almeno quelle che io, nella mia meravigliosa ingenuità, avevo sempre considerato dei valori, quasi delle regole di buona condotta, per una vita tranquilla.
Ho visto vacillare la mia capacità di reagire e, a dirla tutta, ho visto l'orlo del vortice nero che è la depressione avvicinarsi sempre più ai miei piedi, ho visto giorni sempre uguali, fotocopie di vita reale scorrermi davanti come in un replay in accadì, come va tanto di moda oggi in televisione.
Poi un piccolo grande volo e relativa rovinosa caduta prima di aprire gli occhi, voltare pagina.
Ho visto il mare e mi ci sono perso.
Ma ho visto me stesso.
Ecco, bravo, bis.
Ma non è tutto così immediato come potrebbe trasparire.
La strada è ancora lunga, davvero.
Non sembra, dicevo, ma questo è più di un diario.
E so che non è neppure un libro anche se alcune cose che mi hanno visto coinvolto negli ultimi anni sembrano frammenti di storie più o meno banali (..ai posteri l'ardua sentenza) 

E nonostante tutto quello che ho passato, non mi sento un esempio, semmai mi sento come un modello da non seguire, perchè l'arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s'accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.
Ci voleva l'intervento del buon Calvino per sintetizzare il concetto.
"..Ci si accorge che quel che si sapeva è proprio nulla."
Ecco spiegato perchè questo è più di un diario.
Ho scritto oltre 90 post.
Ma in realtà è sempre il primo giorno.

venerdì 17 febbraio 2012

La prima cosa è il mio nome.

"La prima cosa è il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta è fame, la settima orrore, l'ottava i fantasmi della follia, la nona è la carne e la decima è un uomo che mi guarda e non uccide. L'ultima è una vela. Bianca. All'orizzonte." (cit.)

Di nuovo qui.
Dopo tanto tempo.
Forse troppo.
Forse.
Mi chiedo se sono ancora in grado.

Un anno fa, nel post precedente, avevo scritto una cosa.
Scrissi che mi riusciva meglio buttar giù due righe quando avevo qualcosa che premeva da dentro, quando c'era una parte più scura di me che appannava i miei pensieri durante il giorno. Quindi scrivere qui aveva quasi una valenza terapeutica, in grado di aiutarmi a rimediare al casino del giorno.
Già.
Era il duemiladieci.
Ora molte cose sono cambiate e sicuramente le prospettive si sono allargate.
Passo dopo passo sto rimettendo assieme i pezzi, come mi ero sempre ripromesso.
Eppure, a distanza di due anni, eccomi ancora davanti allo schermo a scrivere.
Quattro luci soffuse a diluire il buio della stanza, il ticchettìo senza sosta dell'orologio appeso al muro, il fruscio delle auto provenienti dalla strada ed io, seduto sul mio divano antracite con il Mac sulle gambe.
Scrivo.
O almeno ci provo.
Sì perchè non è che c'ho il fuoco sacro dell'artista, non sono uno scrittore e penso che quello che riesco a mettere assieme non interessi poi a molte persone.
In fondo va bene anche così.
Scrivo qui perchè per me scrivere è un mezzo per cercare di capire le regole sottese a quello che mi circonda ogni giorno, per indagare me stesso e il modo in cui mi rapporto con gli altri e con il mondo.
Non dimentico mai da dove sono partito.
Non dimentico soprattutto lo stato d'animo con cui ho iniziato questa avventura della scrittura, un po' atipica per certi versi per come ero fino a qualche anno fa.
Scrivere è stato per me un modo per cercare di fare chiarezza, di unire i punti.
La vita non è un percorso lineare e solo guardando indietro si può capire il significato della strada percorsa.
Quindi chiedo scusa di questo mio silenzio.
Ma c'è sempre bisogno di lasciar sedimentare i pensieri.
Un po' per una certa forma di "rispetto" che nutro per la scrittura e un po' per non risultare banali o scontati.
Ma appena ti esplode dentro il bisogno di unire qualche altro punto della tua vita, di condividere qualche esperienza, ecco che si compie una specie di magia.
E quindi mi vedo un po' come un bambino che resta a bocca aperta mentre guarda uno spettacolo di magia. E si meraviglia di quello che riesce a fare quell'uomo con il frac e i guanti bianchi.
Sì perchè io i maghi me li immagino così, un po' romantici, un po' vecchia maniera.
Vita, spettacolo e magia. Tre parole apparentemente distanti ma che, a pensarci bene, qualche link, qualche legame ce l'hanno, almeno per me che dietro una tenda di un teatro c'ho passato più di qualche tempo.
Perchè in fondo nella vita, come nello spettacolo di magia, dove spesso c'è una tenda a nascondere quello che accade veramente, c'è una botola dove spariscono le persone e le loro verità.